1554: Malga Cupolà di Sotto - Lagorai

Spesso, quando vado in montagna, sono portato a pensare che un'escursione non sia "bella" (nel senso più ampio del termine: entusiasmante, arricchente, con un paesaggio in continua metamorfosi, dai colori cangianti, su sentieri apprezzabili per la consistenza stessa del suolo e per le sfide che ci pongono, ...) se non presenta almeno un tot di dislivello. Un po' come se ci fosse un Δ-dislivello tra partenza e arrivo in mancanza del quale un'escursione non sia considerata escursione dal sottoscritto.

Ovviamente non sempre è così ma, probabilmente perché negli ultimi tempi la zona che sono solito frequentare l'ho percorsa abbastanza in lungo e in largo, in molte occasioni mi sono trovato a pensare che senza 1000m di dislivello, quel tot di cui accennavo poco sopra, mi sembra quasi strano parlare di "escursione". Non è un fatto di cui mi spavento o che ritengo essere "negativo": semplicemente quando cammino per più di 1000m di dislivello significa che sto impiegando più di metà giornata in montagna e, dato che mi piace passare il tempo a camminare e in ambienti poco frequentati, stare 8-10 ore fuori mi diverte molto di più che partire al mattino e rientrare per pranzo - per dire.

Domenica 5 Gennaio - il giorno prima avevo raggiunto la Forcella Valsorda (qui l'articolo: https://conipiediperterraa.blogspot.com/2020/01/2087-forcella-valsorda-lagorai.html) - sentivo il bisogno di camminare ancora un po', anche solo per godermi una splendida giornata invernale di sole e cielo limpido. Alle 10.30 non sapevo ancora dove andare e un leggero senso di colpa stava prendendo il sopravvento: come avrei potuto sprecare così tanto tempo in casa senza muovere le mie gambine e gustarmi l'ambiente esterno, il fuori?

Alle 11.30 finalmente ho iniziato a camminare. Destinazione: Malga Cupolà di Sotto (1544m). La partenza è dal Refavaie, dove ho lasciato l'auto. Il Sentiero della Pace, su cui si cammina per alcuni chilometri prima di prendere una mulattiera che conduce fino alla Malga, lo si prende svoltando a sinistra una volta raggiunto il ponte che porta al Refavaie. Si cammina in piano, senza particolari variazioni nel paesaggio per un bel pezzo, acquisendo dislivello in modo impercettibile. Bisogna procedere per 2.5km (con i quali si guadagna solamente 100/120m circa di quota) prima di incontrare un ponticello sulla destra, poco dopo del quale si inizia a camminare su una mulattiera che, come tutte le mulattiere, è in salita (c'è un cartello verde con scritto "strada forestale CUPOLÀ DI SOTTO").


Ponticello sul torrente Vanoi

Si prosegue sulla strada (imbiancata in quei giorni) e a farci compagnia, sulla destra, ci sono il Cima Paradisi e il Cece. Spesso compaiono anche il Cauriol e il Cima d'Asta: i tornanti non mancano e ad ogni svolta le cime si danno il turno (ora è presente questa e quella, poco dopo un'altra e qualche metro più in là quest'altra ancora). Quando si arriva circa a 1.400m di altitudine, a 3.8km dal Refavaie, ci si imbatte in un bivio. Bisogna svoltare a destra e non proseguire sulla strada che prosegue dritta e punta un po' a sinistra. In sostanza bisogna prendere la direzione in salita e non quella più pianeggiante. Si intravvede sulla sinistra un casolare in legno:

Bivacco/casolare

Si tratta di una sorta di bivacco. Dentro ci sono alcuni letti e una stufa a legna, ma in generale non è in ottime condizioni. Poco dopo questa baracca ci si imbatte in un'altra scelta non molto segnata. Questa volta dobbiamo scegliere se proseguire dritti o svoltare a sinistra: bisogna svoltare a sinistra e prendere il sentiero dal quale, dall'alto, è possibile vedere il bivacco stesso.

Si avanza ancora per circa mezzo chilometro su questa strada forestale finché non si inizia ad affrontare alcuni non molto ampi. Se si guarda in alto è possibile notare come gli alberi inizino a diradarsi un po' alla volta, tanto che è possibile vedere il cielo dal basso, segno che al di sopra del nostro punto di vista è presente una zona pianeggiante non coperta da vegetazione. In poco tempo, è possibile notare sulla sinistra una costruzione in legno. Si tratta della Malga Cupolà di Sotto. Ci si trova a circa 1.500m di altitudine, a poca distanza dalla meta. Quando si incontra un altro cartello verde che recita "LAGO NERO" non si procede dritti ma si prende una leggera salita sulla sinistra che, dopo circa 100m, conduce alla Malga (1.544m).

Il massiccio del Cima d'Asta
La Malga è stata costruita nel 1983 e versa in condizioni assai migliori rispetto al bivacco che si incontra a circa 1.400m, anche se al suo interno, a causa di un focolare senza canna fumaria, tutte le pareti sono impregnate di fumo. La bellezza di questo luogo, però è al suo esterno. La Malga è circondata da montagne bellissime che compongono una cornice ordinata pur nella loro differenza di forme e altitudine. Tenendo alla destra la facciata della Malga è possibile scorgere, partendo dalla sinistra una serie di cime meravigliose: il Monte Cauriol, il Cima Cece (parecchio in fondo), il Cima Paradisi con la sua "vetta" smussata, la Cima Valsorda e per concludere il Col del Vento e il Cima d'Asta - picchi del Massiccio del Cima d'Asta sempre molto visibile da queste parti.





Ho impiegato circa un'ora e mezza per salire dal Rifugio Refavaie alla Malga Cupolà di Sotto, avanzando in modo molto cauto (data la neve e il ghiaccio) e fermandomi spesso per scattare qualche foto e fare qualche video. Penso che in un'ora, un'ora e dieci, d'estate, si possa salire - senza nemmeno fare le corse. Il dislivello è di poco più di 400m. Si tratta di un percorso molto piacevole e che soprattutto ha una vista costante sulle vette più importanti della zona.

Come scrivevo all'inizio, spesso mi trovo "in difficoltà" a parlare di escursione se non ho fatto almeno 1000m di dislivello. Non so bene se sia un'idea corretta e se alla fin fine questo mio modo di pensare possa essere considerato una sorta di criterio - e, o, non sia semplicemente un qualcosa che dipenda dal fatto che, se devo camminare, nella maggior parte dei casi cammino per diverse ore proprio perché mi piace stare fuori.

Più ci penso, però, più credo che la montagna non sia l'habitat di freddi numeri, calcoli, pendenze, distanze, percentuali, consumi di energie, forze, barrette energetiche e maglie sintetiche, trattamenti idrorepellenti, bastoncini da trekking leggeri, zaini con tasche ergonomiche, coltellini svizzeri, torce a led e batterie di scorta. Tutto questo è un qualcosa che - e vale per primo per me - noi aggiungiamo alla montagna, perché siamo portati a voler tenere sotto controllo tutto. Se qualcosa ci sfugge ci sentiamo persi. Se non sappiamo il nome di un qualcosa, se ci manca un'informazione, quasi non possiamo "prendere", afferrare quella cosa. Dobbiamo dare una definizione a tutto. De-finire, stabilire un confine per comprendere una cosa, per racchiuderla entro uno spazietto e poterla governare. Siamo abituati a misurare i passi che facciamo, a contarli; a verificare il consumo in kcal e a valutare se come scorta sia meglio una nocciolina o un pezzo di mela; a pesare lo zaino (lo faccio sempre!!!) e a decidere cosa metterci, salvo poi pentircene; ad usare applicazioni per verificare l'andamento del percorso e la velocità di crociera a cui ci stiamo muovendo. Sono tutte cose aggiunte: le montagne restano lì e ci guardano, da sempre. Il Cauriol, con il suo profilo da dente di squalo, è sempre fermo lì, il Cima d'Asta, poco lontano, fa lo stesso. Da qualche parte il Monte Grappa domina la pianura, com'è da sempre.

Non si tratta di un qualcosa di solamente, esclusivamente, negativo e becero, sia chiaro. Queste "cose aggiunte" ci aiutano anche ad affrontare un po' meglio una passeggiata, sia fornendoci qualche indicazione in più sia rassicurandoci quando l'ambiente della montagna tende un po' a metterci in difficoltà, impedendoci di gustarne appieno la sua bellezza e complessità. 

Tuttavia, la cosa importante è non scambiarle per la montagna-in-sé. La montagna non è "1.000m di dislivello", perché al di sotto è solo una passeggiata. La montagna è semplicemente "la montagna", un ambiente dove possiamo decidere di metterci alla prova duramente (ed è una cosa importantissima perché ci costringe a rimetterci in gioco, a vincere le nostre debolezze e a consolidare i nostri punti di forza) o, semplicemente, di camminare senza uno scopo (che non significa: senza senso), cercando solamente uno scorcio di bellezza, una cima lontana, una radura nascosta, il suono di un torrente agitato o di una cascatella tranquilla. Un senso essenziale, in definitiva, semplice e che per questo ci risulta difficile da comprendere, tanto siamo abituati a cose arzigogolate e complicate. 

Forse è proprio perché non misurabile, non utile, e che perciò si allontana da un paradigma a cui troppo spesso siamo abituati a rispondere e sottostare ("a cosa serve, se non è utile?") che è facile essere portati a considerare la montagna come "Regno dei Dislivelli". L'unica cosa a cui siamo abituati a pensare è verificare se una cosa sia utile. Per fare questo non ci rimane che misurare tutto - anche la montagna - con ogni mezzo e ad ogni costo. Per questo motivo, l'escursione alla Malga Cupolà è stata importantissima per me, perché  mi ha docilmente condotto a mettere da parte quel mio modo di pensare e agire che, pur non essendo così grave e pericoloso (alla fin fine uno zaino leggero, dei bastoncini e un'app per verificare il percorso non sono la fine del mondo), subdolamente mi aveva portato a pensare - e scrivere - che una passeggiata "non sia "bella" [...] se non presenta almeno un tot di dislivello. Un po' come se ci fosse un Δ-dislivello tra partenza e arrivo in mancanza del quale un'escursione non sia considerata escursione dal sottoscritto".

Link al video dell'escursione: https://youtu.be/gFbZ9Ncqg0U

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