2754: Cima di Cece - Lagorai

Quest'estate, in previsione del cammino sulla Francigena in Toscana (10-24 Agosto), ho dedicato numerosi weekend ad escursioni in montagna per testare la tenda, lo zaino, per capire cosa sarebbe stato necessario e di cosa avrei dovuto fare a meno, per provare i bastoncini e scarpe... - e ovviamente per tenermi un po' in allenamento.

La mia idea era quella di completare tutti questi test per tempo ed evitare di mettermi in marcia o fare sforzi impegnativi la settimana prima della partenza per il Passo della Cisa, inizio della mia Francigena. Fu così che verso fine luglio ho chiamato Giordano - ex coinquilino di Trento, grande camminatore e compagno di numerose escursioni (e di cammino lungo la Via degli Dei) - per proporgli una due giorni in tenda sul Lagorai per il 3 e 4 agosto, che ci avrebbe portato in vetta alla Cima di Cece: 2754m - la montagna più alta di questa catena. La risposta di Giordano, come mi aspettavo, è stata positiva. In pochissimi giorni abbiamo organizzato un percorso (quasi) ad anello. Mi apprestavo in questo modo a smentire del tutto ogni mio (cattivo) proposito di riposarmi la settimana prima del cammino.

Le tappe del percorso erano le seguenti:

Giorno 1:
  • Partenza al mattino dal Rif. Refavaie (1116m.)
  • Pranzo al bivacco Paolo e Nicola (2180m.)
  • Escursione Cima di Cece (2754m.)
  • Notte in tenda nei pressi del bivacco
Giorno 2:
  • Partenza da Paolo e Nicola
  • Pranzo al bivacco Coldosè (2163m.)
  • Ritorno al Rif. Refavaie

Qui il link del video di questa escursione: https://www.youtube.com/watch?v=14CPPMWqWUA

La mattina del 3 Agosto abbiamo iniziato a camminare attorno alle 09.30 prendendo il sentiero n° 335 in direzione "Forcella Valmaggiore". Fino al bivacco Paolo e Nicola (d'ora in poi: P&N), bisogna sempre seguire il 335. Il primo tratto del percorso costeggia il torrente Coldosè, molto agitato e colmo d'acqua in quei giorni. A 1319m, in località "Sass Taià", si trovano delle indicazioni: bisogna mantenere il 335 per "Malga Coltorondo/Forcella Valmaggiore". Si cammina su una strada bianca immersa nel bosco, senza fatica ma anche senza una visuale sulle montagne circostanti. Poco male comunque: il dislivello da affrontare in giornata sarebbe stato significativo (più di 1.600m) ed iniziare senza troppi strappi la nostra escursione ci ha permesso di "entrare in temperatura" gradualmente. 

A circa 1650m il sentiero si è improvvisamente interrotto a causa degli alberi schiantati da Vaia. Dopo un iniziale smarrimento - il 335 sembrava procedere in mezzo agli alberi ma poi non era più riconoscibile - grazie a Wikiloc (applicazione consigliata a tutti gli escursionisti) abbiamo deciso di lasciare il tracciato (distrutto) e salire in mezzo al bosco soprastante gli schianti per poter vedere dall'alto dove avrebbe proseguito il sentiero. Grazie alla cartina messa a disposizione dall'applicazione, siamo riusciti a recuperare il percorso, senza praticamente allungare il tracciato. 

La zona distrutta da Vaia

Alle 11.30 circa siamo arrivati a 1700m, dove abbiamo incontrato il cartello "Malga Coltorondo/1700m"; da lì abbiamo proseguito verso Forcella Valmaggiore, distante circa 1h30'. 
Gradatamente il bosco ha iniziato a diradarsi finché, giunti a circa 2000m, il sentiero non ci ha portati fuori dalla boscaglia permettendoci di osservare la catena del Lagorai di fronte a noi. Il cielo era incredibilmente terso e azzurro, la notte prima infatti era piovuto ed era caduta anche la grandine, ancora visibile in alcuni tratti meno esposti al sole, sotto le rocce presenti qua e là in mezzo ad un prato che improvvisamente ci si è presentato innanzi.

La scomparsa del bosco

Salendo di poco, a 2100m. circa, alle nostre spalle si stagliavano la "Cima Paradisi" (2206m.), verdissima, e ancora più dietro il tetro massiccio del Cima d'Asta (2847m.), con le sue numerose e caratteristiche vette (ore 12.30). 




Il bivacco P&N, che si trova sulla Forcella Valmaggiore, era ormai raggiunto. Poco prima del bivacco ci siamo fermati a fare rifornimento di acqua ad una fonte che sapevamo essere nei paraggi del bivacco stesso - e che ci ha permesso sia di limitare i litri d'acqua da caricare nello zaino sia di affrontare con più tranquillità il dislivello del primo giorno. In meno di cinque minuti abbiamo raggiunto il P&N, un bivacco confortevole e ben organizzato. Ci sono 9 posti letto e grazie ad una stufa è sia possibile scaldarsi sia preparare da mangiare. Un grande tavolo permette a 9-10 persone di mangiare tranquillamente. All'esterno è presente una legnaia abbastanza rifornita.

Giunti al bivacco attorno alle 13.00 la giornata ha preso una svolta. Consapevoli del tempo a disposizione e del tempo necessario per salire in cima (e tornare al bivacco stesso) abbiamo deciso - banalmente - di prendercela comoda. Abbiamo pranzato (cous-cous con tonno), preparato e bevuto il caffè e chiacchierato con un signore di cammini ed escursioni in montagna. Come due bravi scout (lascia il mondo migliore di come l'hai trovato), concluso il pranzo ci siamo dati alle pulizie del pavimento del bivacco dato che non era in ottime condizioni e non è mai piacevole vedere che certi ambienti non vengono mantenuti, da chi se ne serve, nel modo opportuno. 

Dopo circa due ore e mezza - erano le 15.30 circa - abbiamo deciso che era il momento di salire al Cima di Cece, prendendo il sentiero che si trova in prossimità del bivacco. Secondo le indicazioni ci avremmo dovuto impiegare circa 2ore a salire, un tempo ragionevole per affrontare un dislivello di circa 600m. Il percorso, tipico per il Lagorai, è caratterizzato da numerose frane e da sentieri costellati da pietre di dimensioni assai diverse, talvolta anche instabili. Grazie ai segnali biancorossi non è difficile orientarsi e questa è una fortuna perché occorre prestare grande attenzione a dove si mettono i piedi e i bastoncini ed avere delle indicazioni ben visibili permette di mantenere la concentrazione.

Il primo tratto della salita è dominato da quello che abbiamo chiamato "Denti Aguzzi", vale a dire il Campanile di Cima Cece. Simile ad un dente di squalo, esso domina il sentiero con fare minaccioso. Inizialmente temevamo che proprio quel dente fosse Cima Cece; fortunatamente, dopo un po', ci siamo accorti che la vetta era più lontana. Non riuscivamo infatti a capire come avremmo fatto ad affrontare un concentrato di cattiveria su pietra simile a quello. 


Denti Aguzzi

A 2600m circa abbiamo dovuto sfidare un canalone molto pendente il cui "letto" era costituito da pietre lisce e un po' scivolose; superato questo ostacolo, con qualche fatica, siamo stati accolti da un altopiano dal quale era possibile osservare benissimo la dorsale del Lagorai, con tutte le sue cime, il Paradisi, il Cima d'Asta.

Dopo qualche foto, d'obbligo data la vista, abbiamo ripreso a camminare. Il sentiero di guerra che conduce in cima è lastricato di pietre e sale lungo il pendio della montagna con fare deciso ma non eccessivamente estenuante. In alcuni punti sono visibili alcune rovine della Prima Guerra Mondiale, tracce indelebili, come cicatrici sulla montagna. È difficile pensare a quanto fosse estenuante anche solamente sopravvivere in questi luoghi per noi tanto suggestivi, specialmente durante l'inverno e in carenza di ripari adeguati, di cibo e di un vestiario adatto ad affrontare il freddo - per non parlare della neve e del vento gelido a quell'altitudine. Come devono aver vissuto la montagna i soldati della Grande Guerra? Anche per questo la montagna è un ambiente che deve essere affrontato con rispetto.

Con un ultimo sforzo abbiamo raggiunto la vetta: 2754m. La cima più alta di tutto il Lagorai. Nonostante il cielo iniziasse a tingersi di un grigio plumbeo e le nuvole si muovessero agitate abbiamo comunque deciso di brindare all'impresa, preparandoci un té caldo: erano le 17.30, l'ora del té. A causa del vento sferzante, in mancanza di una roccia dietro la quale ripararsi, il freddo si faceva sentire. Pur in condizioni non ottimali per potersi godere una pausa, il panorama era incredibile: dal Lagorai, al Passo Rolle, al Mulaz e più infondo anche il Sorapis e il Cristallo. Il vero ristoro, come sempre, non è stato tanto il té quanto la cima, l'essere-in-cima. Non è possibile descrivere pienamente cosa possa significare raggiungere la croce di vetta, a prescindere dall'altitudine. Tutto resta sospeso e indifferente. Tutto riacquista il proprio peso e il proprio senso


La croce di vetta. Sullo sfondo le Pale di San Martino




Fortunatamente, il vento che ci ha frustati in cima ha anche spazzato via le nuvole e questo ci ha permesso di tornare al bivacco senza prendere la pioggia. Non sarebbe stato facile asciugarsi e montare la tenda. In circa un'ora e mezza eravamo nuovamente al P&N, un po' stanchi ma con la consapevolezza di aver fatto la scelta giusta. Mentre il bivacco iniziava a sovraffollarsi - in totale ci hanno dormito in 20! - noi ci siamo preparati la cena (cous cous con tonno) e una tisana per scaldarci. La temperatura, infatti, è crollata vertiginosamente tramontato il sole. 

Il tramonto visto dal bivacco

Ci siamo riparati in tenda ed abbiamo iniziato a dormire - ma non sarebbe stato facile. Avevo già dormito ad un altitudine di 2200m circa e quindi mi ero fatto un'idea della temperatura di notte in quel periodo: con un sacco a pelo da 15° e vestito con una maglia con maniche lunghe e pantaloni lunghi ero riuscito a dormire benissimo. Quella notte però è stato differente: faceva freddissimo e non riuscivo a scaldarmi, ma non avevo ancora capito quanto freddo fosse finché, alle 3 di notte, non mi sono svegliato e ho sentito la punta del naso gelata. A quel punto non ho fatto altro che aspettare che sorgesse il sole. Giordano, lungimirante, era dotato di un sacco a pelo da 0° gradi: ha sofferto un po' il freddo e se non ha dormito è perché deve avermi sentito lamentarmi e muovermi.

Al mattino, sorto il sole, ci siamo letteralmente fiondati fuori dalla tenda, salendo il pendio della montagna raggiunto dai raggi del sole per scaldarci - avvolti ancora nel sacco a pelo. Ci abbiamo messo due ore per fare colazione (mangiando di tutto pur di recuperare le energie e scaldarci) e rifare lo zaino.

Dopo aver preparato tutto, abbiamo iniziato la seconda tappa, prendendo il sentiero 349 in direzione "Forcella Moregna/Forcella Coldosé". Il primo tratto del percorso è molto panoramico e si snoda su un sentiero che costeggia il fianco della montagna senza salire di quota. L'unico punto più impegnativo è stato quando abbiamo dovuto superare la Forcella Moregna (2397m.), a circa un'ora e mezza dal P&N, perché la salita è molto pendente, con uno strappo molto sensibile ma pur sempre limitato. Giunti alla forcella è possibile vedere dall'alto il Lago Brutto, un laghetto a forma di cuore, di colore blu intenso con tonalità verdi, abbastanza esteso e che si raggiunge in un quarto d'ora dalla Forcella - bisogna fare attenzione alla discesa che porta al lago perché molto ripida e scoscesa. 

Lago Brutto

Al Lago (ore 13.00) abbiamo trovato parecchie persone che facevano pic-nic e si riposavano. Non ci siamo fermati a lungo perché non volevamo invidiare troppo le pietanze dei "turisti", dato che le uniche cose che ci rimanevano da mangiare erano qualche barretta e una scatoletta di sgombro. In due. Abbiamo proseguito sul sentiero finché dall'alto non abbiamo intravisto il Lago delle Trote, in basso a sinistra. Abbiamo disceso il pendio della montagna ed intrapreso il sentiero 339 in direzione "Forcella Coldosé". In circa 45 minuti abbiamo raggiunto, dopo una breve salita, prima la Forcella e poi il nuovissimo Bivacco Coldosè (2163m.), dove ci siamo fermati per "mangiare", bere e riposare un po' i piedi presso una fonte d'acqua, dato che da lì sono necessarie altre 2h30' per tornare al Refavaie. 

La vista dal Bivacco Coldosè

Dopo questa sosta ristoratrice abbiamo ripreso il sentiero. La prima parte del tracciato e costeggiata da dei rivoli d'acqua e sembra quasi di camminare su un prato di montagna. A 1900m si torna a camminare in mezzo al bosco. Scesi di altri 100m circa, a 1805m, si incrocia un segnale che recita "Coldosé di Dentro 1805m", e che ci informa che per giungere il Refavaie ci si impiega 1h50' (erano le 15.40). Dopo aver superato un'altra zona distrutta dalla tempesta abbiamo ripreso il sentiero che in breve tempo ci ha ricondotti alla forestale. Alle 17.00 eravamo tornati al Refavaie.

Primo giorno:
  • 13.5km percorsi
  • 1.650m di dislivello in salita
  • 570m di dislivello in discesa
  • Altitudine massima 2754m
Secondo giorno:
  • 13km percorsi
  • 400m di dislivello in salita
  • 1470m di dislivello in discesa
  • Altitudine massima 2397m

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